Il fenomeno della migrazione dei popoli fu affrontato da Roma antica sin dalle origini: i Romani stessi si definivano un popolo di migranti; per questo in età arcaica il solo trasferimento di residenza da una città all’altra del Lazio implicava l’assunzione della cittadinanza. Al tempo stesso i Romani elaborarono, anche sotto influenza etrusca, un preciso e rigido concetto di confine (terminus, limes), non necessariamente condiviso da altri popoli (p.es. non dai Celti e dai Germani). Di qui nasce la problematica delle migrazioni barbariche in età imperiale (le Völkerwanderungen), dell’insediamento dei barbari entro i confini dell’impero, dell’estensione della cittadinanza, del loro utilizzo per coltivare terre abbandonate: si tratta di un modello di relazione reciproca che più di ogni altro rivela oggi la sua attualità e come tale si intende studiare.
Nell’Antichità il mondo greco colse il problema della necessità di un coordinamento internazionale, reso necessario dal grande frazionamento politico che lo caratterizzava, e lo perseguì attraverso strumenti diversi di carattere politico (organismi sovrastatali come le leghe sacre - le Anfizionie - e le leghe militari egemoniche), ideologico (il motivo del panellenismo) e giuridico (la “pace comune”). Di recente, è stata attirata l’attenzione anche sul dibattito teorico sulla legittimità della guerra. Tali temi meritano di essere riesaminati alla luce della recente valorizzazione del desiderio di pace nella convivenza internazionale greca, in contrapposizione con lo stereotipo di un mondo greco perennemente impegnato in conflitti “agonali” e tendente a rivolgersi alla guerra come allo strumento principe per la risoluzione delle contese; nonché alla luce della problematica contemporanea sui temi del controllo delle relazioni internazionali, della difesa dei diritti umani, dello sviluppo di una civiltà giuridica condivisa.
L’idea di Mediterraneo come spazio culturale è nata con Braudel e la sua celebre Méditerranée, che ha tentato di legare insieme popolazioni del Sud Europa rendendole tra loro simili e al tempo stesso diverse da quelle del Nord del continente. Partendo da Braudel, non è strano che alcuni storici dell’antichità classica abbiano provato a verificare la possibilità di una storia unitaria del Mediterraneo in età antica e medievale fino all’anno Mille, in cui non esiste un ‘centro, ma una connettività sinergica tra popoli, società e culture’. In egual misura viene letta anche la storia del Mediterraneo della prima età moderna, guardando in modo positivo al ‘meticciato’, a una ‘polifonia delle culture’. Ciò impone anche una diversa valutazione dell’esperienza storica degli imperi universali, asburgico, zarista, ottomano. Le spedizioni e conquiste coloniali della prima età moderna aprirono nuove rotte e resero possibili nuovi scambi economici, religiosi e culturali. Il Mediterraneo perse progressivamente la propria centralità a vantaggio dell’Atlantico e del Pacifico. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, il confronto con il paradigma braudeliano di un Mediterraneo inteso come crocevia di scambi può aiutare a considerare criticamente schemi eccessivamente rigidi nella concettualizzazione del rapporto centro-periferia e a ripensare all’interno della stessa Europa i rapporti fra Nord e Sud.
Condotta in collaborazione con studiosi sia di Università italiane sia non italiane, in particolari cinesi, turche e inglesi, la ricerca affronterà la tematica in riferimento a quattro articolazioni: 1) Negli orientamenti complessivi della Chiesa cattolica e magistero pontificio da Benedetto XVI a papa Francesco; 2) In Medio Oriente tra fine del XIX secolo e inizio del XX secolo; 3) Nella Cina contemporanea, dalla crisi dell’impero alla Repubblica (1900-1949): 4) Nell’Africa del XX secolo.