Università Cattolica del Sacro Cuore

Organizzazione dell’università, sociologia e geografia

  • Stiamo assistendo a un profondo cambiamento dei modelli di organizzazione universitaria, che segnano anche sul piano istituzionale il passaggio dall'epoca della predominanza delle scienze dello spirito a quella attuale delle scienze dure, che si traduce nel passaggio dall'organizzazione per facoltà a quella per dipartimenti e centri di eccellenza; in questo nuovo quadro, il problema dell'unità del sapere si pone in forme del tutto nuove.
     
  • Il processo di aggregazione degli Stati avviatosi dopo la Pace di Vestfalia giunse al suo apice nel corso del secolo XIX, subendo una brusca interruzione nella prima metà del XX con le due guerre mondiali. Con la decolonizzazione, il Terzo mondo si è frammentato in Stati “sovrani”, mentre nel Primo mondo la crescente integrazione delle istituzioni europee è stata contrastata dal riproporsi di istanze nazionali e locali e dal tenace permanere di ministati e microstati. Spesso questi nulla hanno a che vedere con il percorso storico e politico di una vera nazione, ma puntano alla conquista di privilegi, soprattutto fiscali, e di situazioni di impunità ai margini del diritto internazionale. La tendenza ribalta il tradizionale ruolo di centri e periferie del mondo: aree geograficamente periferiche diventano il centro di nuovi traffici attorno ai quali ruotano interessi economici spesso fuori controllo. Per contro, il vecchio centro rischia di essere marginalizzato di fronte al proliferare di esperienze centrifughe non inquadrate nelle regole internazionali di convivenza.
     
  • La crisi di avvio di Millennio ha esasperato la domanda di sicurezza orientandola verso la ricerca di strumenti – che siano tecnologie o comportamenti – atti a rendere “il mondo più sicuro”, svincolando la risposta da una riflessione intorno alla dimensione del rischio. Invece, la flessibilità, prima, il rischio, poi, sono stati i vettori culturali della riflessione sociologica, soprattutto europea, di fine Millennio che hanno lasciato oggi spazio alla loro “operazionalizzazione” e “banalizzazione” definita in pratiche di sicurezza. Il risultato è la mancanza di consapevolezza della inevitabilità dei rischi insieme alla non assunzione di responsabilità individuale e la conseguente accettazione di pratiche securitative etero dirette e di tecnologie sempre più pervasive. La prospettiva che si propone, derivante da una serie consolidata di ricerche empiriche, discute la necessità di riconnettere le strategie e pratiche orientate alla sicurezza allo sviluppo di una cultura diffusa del rischio. In tal senso il rischio è inteso provocatoriamente quale “valore” necessario, già proprio della cultura tradizionale europea, affinché le pratiche di sicurezza non giustifichino minacce per la democrazia e per le persone.
     
  • P. Berger sostiene che il successo del cristianesimo sia dovuto al suo aspetto universalistico, che ha come risvolto la valorizzazione di ogni uomo e la considerazione dell’universo come “immensa liturgia in lode al suo creatore”. Non sarebbe da scartare l’ipotesi che questa religione per lo meno possa favorire nuove sintesi orientate all’integrazione sociale e culturale. Inoltre, in seno al cristianesimo nell’epoca contemporanea è cresciuto il processo di “valorizzazione della persona”, che ha interessato non solo il mondo protestante ma anche quello cattolico. Questo processo è destinato a rafforzare quello che Taylor considera l’imperativo etico del mondo occidentale oggi, cioè il dovere che l’uomo ha di fare scelte personali in tutti i campi (compreso quello religioso). L’indagine mira a verificare in che misura il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, stia contribuendo a riformulare un umanesimo europeo in modo più adeguato ad affrontare i processi di globalizzazione.