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Dyscolos. Menandro in maschera. Studio per una messinscena del Il Misantropo (2004-2005)
Adattamento e regia: Adriano Iurissevich
Assistente alla regia: Francesca Frisullo, Laura Ghirlandetti, Ilaria Lucini
Direzione artistica: Elisabetta Matelli
Traduzione: Ezio Savino
Costruzione delle Maschere (da reperti provenienti dalla necropoli di Lipari): Malcolm Yates Knight, Richard Williams
Immagine del fondale da un dipinto di Clara Matelli
Luci: Alessandro Scarpa
Consulenza scientifica: Richard Williams, Elisabetta Matelli, Ezio Savino
Musicisti: Mariella Salierno, Davide Michieletto
Attori: Luca Altavilla, Angelo Crotti, Adriano Iurissevich, Romans Pazos-Suarez
Coro (studenti del Labratorio d dramaturgia Antica): Romina Borsani, Donatella Castagna, Maria Jennifer Falcone, Enza Genna, Laura Ghirlandetti, Clarissa Mambrini, Lucia Nicolai, Silvia Perugini, Cecilia Ravaioli, Diego Runko, Laura Sobrini
Nei primi mesi dell'anno accademico 2004-2005 il LDA ha preso parte a un'esperienza molto particolare: la messinscena del Dyskolos di Menandro da parte di un team di attori professionisti guidati da Adriano Iurissevich, Maestro della recitazione con maschera greca. Gli attori hanno infatti lavorato con maschere ricostruite attraverso un procedimento elaborato dal progetto internazionale Menander in Performance di Richard Williams dell'Institute for Art History dell'Università di Glasgow. Sulla base dei reperti di piccole maschere in terracotta provenienti dalla necropoli di Lipari il mascheraio scozzese Malcolm Yates Knight ha ricostruito maschere in resina ad uso teatrale. Per questo Laboratorio Ezio Savino ha apprestato una nuova traduzione della commedia, concepita espressamente per la scena.
I giovani del Laboratorio hanno interpretato il ruolo del coro, i cui testi - come è noto - non sono pervenuti per via manoscritta. Aristotele aveva osservato la scomparsa dei canti corali collegati alla trama e la loro sostituzione con 'intermezzi' (embolima) cioè con canti corali di repertorio, e su questa base teorica Iurissevich ha recuperato nel suo spettacolo canti e danze di tradizione grecanica del Salento attraverso la collaborazione al progetto di musicisti e danzatori salentini (Mariella Salierno, Davide Michieletto). Elisabetta Matelli ha guidato un approfondimento teorico e multidisciplinare, con uno studio delle testimonianze e iconografie di danze antiche messe in parallelo ad alcune figure della danza etnica moderna. La studentessa Maria Jennifer Falcone, forte delle sue origini calabresi, si è assunta il compito di riconoscere quali passi e i movimenti delle iconografie antiche possano sopravvivere nelle figure delle danze grecaniche e su questa base sono state selezionate alcune soluzioni di passi di danza rispetto ad altre.
La partecipazione a questa produzione ha permesso al Laboratorio di approfondire lo studio delle caratteristiche e le difficoltà di una recitazione in maschera. Gli studenti hanno appreso l'importanza del collegamento tra linguaggio verbale e non verbale, particolarmente significativo con l'uso delle maschere, attraverso le quali l'apparente rigidezza del volto prende sorprendentemente vita ed espressioni dall'azione di tutto il corpo istruito a esprimere con piccoli gesti, come una leggera inclinazione del capo, o con gestualità caricate, a seconda della situazione, le intenzioni espresse dalle parole.
Note del tarduttore
Tradurre Menandro
Questa nuova traduzione della commedia di Menandro è stata concepita espressamente per la scena. Conoscevo i lavori di Richard Williams sulle maschere. Avevo visto all'opera Adriano Jurissevich con l'incantevole attrezzo scenico. Ho intuito che l'uso della maschera doveva incidere profondamente sul lavoro di traduzione. Mi sono prefisso due traguardi. Primo, offrire una traduzione integrale del testo. Integrale, per me che da tanto traduco i testi teatrali classici, significa fedeltà piena alla filologia del testo, in ogni sua scoperta o immaginata - ogni traduttore è un sognatore - sfumatura di lessico, d'intonazione, di intuito contesto. Credo di aver dissepolto l'elegante gusto menandreo per i giochi di parole, artificio non di farsa, ma di comicità intima. Secondo, assecondare un ritmo che trovasse scenica cadenza nell'uso della maschera. La maschera dispone di questa meravigliosa ambiguità: in quanto scultura, è in forme fisse e rigide; in quanto volto che si muove nella luce e nel rapporto con il corpo dell'attore, è incredibilmente mobile ed espressiva. Dunque è segno di universalità dei tipi comici, e di individualità di quel personaggio che in quel momento agisce in scena. Questo è ritmo. Ho tradotto verso da verso, cadenzando sull'originale. Ho scelto una lingua asciutta, scultorea, attuale, con i punti fermi del dettato (parole-chiave, pronomi, soggetti) nelle zone forti dei versi. L'attore ha così tutto l'agio di sottolineare, sfumare, tornire, sfruttare la maschera come macchina da riflessione profonda. Poche parole sui Cori. Il primo Coro è un inno a Pan. Ho tradotto - parodiando, perché l'ho sentito come nota di una scena ebbra - l'attacco dell'Inno omerico al dio. Ho coinvolto gli attori in un rito dionisiaco d'edera, con corone, sacre sferze e tirsi. Sugli altri Cori, l'incognita di un copione che non tramanda né parole, né impulsi. Se gli intenti colgano nel segno, saranno la scena e, soprattutto, il pubblico, a rivelarlo.